Most HR Data Is Bad Data

Sappiamo, davvero, valutare le persone?

Il 9 febbraio 2015 Marckus Buckingham, autore di diversi best seller sui temi del talento e delle capacità nelle organizzazioni, ha pubblicato un articolo che mette in discussione l’abilità dei manager nella valutazione corretta dei propri collaboratori e l’affidabilità dei risultati di quelle valutazioni. E dimostra come l’area HR in azienda costruisca di fatto ricadute di azioni premianti, di formazione, di sviluppo sulla base di dati non corretti.

Cosa dice Markus Buckingham?

RICERCHE

Quanto bravo credi di essere come valutatore?

  • Se tu fossi il mio manager e avessi visto le mie prestazioni per un anno intero, quanto pensi sarebbero accurate tue valutazioni su di me, su elementi quali la mia “promuovibilità” o il mio “potenziale?”
  • Che ne diresti di attributi più specifici come il mio orientamento al cliente o quello che ho imparato rispetto all’orientamento al cliente, la mia agilità in questo?
  • Sei una di quelle persone che pensa che, con un sufficiente tempo di osservazione, potresti esprimere una valutazione affidabile su questi aspetti della prestazione su una scala da 1 a 5?
  • E riguardo le persone intorno a te – i tuoi pari, riporti diretti o il tuo capo?
  • Pensi che con abbastanza formazione e training potrebbero diventare tuoi valutatori affidabili?

Nella grande maggioranza delle organizzazioni si opera come se la risposta a quelle domande fosse “sì, con abbastanza formazione e con il tempo, le persone possono diventare valutatori affidabili di altre persone.” E su questa risposta hanno costruito l’intero edificio di sistemi e processi HR.


 

Quando si chiede al tuo capo di valutare te sul “potenziale” e di mettere questa valutazione in una griglia di performance potenziale a nove quadranti, lo si fa perché si suppone che il rating del tuo capo sia una misura valida del “potenziale” – qualcosa che si può poi confrontare con le valutazioni del potenziale degli altri tuoi pari e decidere chi debba essere poi promosso.

Allo stesso modo, quando, come parte della valutazione delle prestazioni, si chiede al tuo capo di valutare te sulle competenze richieste dall’organizzazione, lo si fa perché si è convinti che queste valutazioni rivelino in modo affidabile quanto bene tu stia effettivamente facendo su queste competenze

attenzioneIl gap di competenza che il tuo capo identifica, diventa quindi la base per il piano di sviluppo individuale per il prossimo anno. Lo stesso vale per l’uso diffuso del censimento 360 gradi. Usiamo queste indagini perché crediamo che i rating di altre persone rispetto a te rivelerino qualcosa di reale su di te, qualcosa che può essere identificata in modo affidabile, e poi migliorata.

Purtroppo, ci sbagliamo. Le ricerche condotte da Markus Buckingham di Gallup rivelano che né tu né i tuoi coetanei siano valutatori affidabili di chiunque. E di conseguenza, quasi tutti i nostri dati sulle persone in azienda sono fatalmente non corretti.

Nel corso degli ultimi quindici anni un corpus significativo di ricerche ha dimostrato che ognuno di noi è un valutatore inaffidabile della prestazione di altre persone.

L’effetto che rovina la nostra capacità di valutare gli altri ha un nome: Idiosyncratic Rater Effect (effetto di valutazione idiosincratica), che dice che la mia valutazione di te su una qualità come il “potenziale” non è guidata da chi tu sei, ma dalla mia idiosincrasia: come io definisco il “potenziale”, quanto di quel potenziale credo di averne, quanto esigente, sono, di solito, come valutatore.

Questo effetto è resistente.

Nessuna quantità di formazione sembra in grado di ridurlo. Ed è ampio: in media, il 61% del mio voto su di te è un riflesso di me.


In altre parole, quando valuto te, su qualsiasi cosa, la mia valutazione rivela al mondo molto di più su di me di quanto non faccia di te.


 

Nel mondo della psicometria questo effetto è stato ben documentato.

Il primo grande studio è stato pubblicato nel 1998 in Psicologia del Personale; c’era un secondo studio pubblicato sul Journal of Applied Psychology nel 2000; e una terza analisi di conferma è apparso nel 2010, di nuovo in Personnel Psychology.

In ognuno degli studi condotti separatamente, l’approccio è stato lo stesso:Lampadina luce

  • prima chiedere a coetanei, riporti diretti e capi di valutare i manager su una serie di competenze di prestazione.
  • Poi esaminare i feedback (più di mezzo milione fra i tre studi) per vedere la ragione per cui i manager hanno ricevuto quelle valutazioni.

Hanno scoperto che più della metà della variazione nelle valutazioni di un manager potrebbe essere spiegato dagli unici modelli di rating dell’individuo che ha espresso quella valutazione. Il primo studio era del 71%, il secondo del 58% ed il terzo del 55% .

Il punto è: quando guardiamo un punteggio pensiamo che riveli qualcosa del valutato, ma non è così.

Piuttosto rivela molto del Valutatore.

Nonostante la documentazione e le diverse ricerche confermino quei risultati della Idiosyncratic Rater Effect nelle riviste accademiche, nel mondo del business sembriamo inconsapevoli di queste dinamiche. Eppure dobbiamo fare i conti con l’impatto che questo effetto ha sulle pratiche inerenti i collaboratori delle aziende.


Se si guarda da vicino questa cosa, ci si rende conto che di fatto dobbiamo smantellare e ricostruire praticamente tutti i nostri processi valutativi.


grafico customer satisfactionAlimentato dalla nostra fiducia nelle persone come valutatori affidabili, prendiamo le loro valutazioni – di prestazioni, di potenzialità, di competenze – e le usiamo per decidere

  • chi viene formato su quali abilità,
  • chi viene promosso a quale ruolo,
  • a chi viene riconosciuto quale livello di bonus,
  • e anche come la nostra strategia HR si allinea alla strategia di business.

Tutte queste decisioni sono basate sulla convinzione che queste valutazioni riflettano realmente le persone che vengono valutate. D’altra parte se pensassimo che queste valutazioni potrebbero essere non valide, allora dovremmo mettere in discussione tutto ciò che facciamo per il nostro personale. Come formiamo, distribuiamo, promuoviamo, compensiamo e premiamo i nostri collaboratori, tutto sarebbe sospetto.

Eppure, questa è davvero una sorpresa? Sei seduto in una riunione di fine anno a discutere di una persona e si guarda la sua valutazione complessiva delle performance e le valutazioni sulle diverse competenze e pensi “Davvero? Questa persona è davvero un ‘5’ (il massimo livello) rispetto al pensiero strategico? Che cosa voleva dire per i valutatori veramente “’pensiero strategico”?”

Guardi le definizioni comportamentali di pensiero strategico e vedi che un” 5 “significa che la persona ha applicato il pensiero strategico “costantemente”, mentre un” 4 ” è solo “spesso”. Ma tu ancora ti chiedi : “Quanto peso dovrei davvero dare alla capacità del gestore di analizzare la differenza tra ‘costantemente’ e ‘spesso’? Forse questo ‘5’ non è davvero un ‘5’. Forse questa valutazione non è reale.”

3d numbers exploded

E così forse si comincia a sospettare che i dati delle persone non siano affidabili.

Questi ultimi quindici anni hanno dimostrato che è così. I sospetti sono fondati. E questa scoperta deve farci fermare. Ciò significa che

  • tutti i dati che utilizziamo per decidere chi deve ottenere una promozione non sono validi;
  • che tutti i dati di valutazione della performance che utilizziamo per determinare bonus e retribuzione delle persone sono imprecisi;
  • e che i collegamenti che cerchiamo di dimostrare tra la nostra strategia HR e la nostra strategia di business non sono corretti.

 

Ciò significa che, quando si tratta delle nostre persone all’interno delle nostre organizzazioni, siamo tutti funzionalmente ciechi. Ed è il tipo più pericoloso di cecità, perché ne siamo inconsapevoli. Pensiamo di poter vedere ma non è così.

“Ci sono soluzioni, ne siamo certi”, dice Buckingham. “Ma credo che, prima di poter prendere in considerazione quei dati, dobbiamo prima fermarci, fare il punto e ammettere a noi stessi che i sistemi attualmente utilizzati per rivelare come sono le nostre persone, di fatto le oscurano soltanto.

Questa ammissione ci sfida. Dobbiamo ridisegnare quasi tutto il nostro complesso di pratiche di gestione dei talenti.

Molti dei nostri comodi rituali,

  • la revisione dei risultati di fine anno,
  • la griglia di nove aree,
  • l’incontro capo-collaboratore di confronto,
  • il nostro uso del censimento 360°

dovranno essere cambiati definitivamente.

Per quelli di noi che vogliono che l’HR sia conosciuto come un fornitore di buoni dati – dati su cui si possa effettivamente basare un business – questi cambiamenti devono essere posti in atto subito.