Acquisition e Retention partono dal Job Design

Il fenomeno delle grandi dimissioni, nonché la difficoltà nell’attirare i giovani all’interno del mercato del lavoro, oltre a interrogarci, sorprenderci e indignarci, forniscono alle organizzazioni la grande opportunità di mettersi in discussione, squarciando quel velo di scontatezza e bastevolezza che nella cultura del lavoro italiana contraddistingue chi “dà il lavoro”.

Dal Pane al Senso

Il dato, sospendendo ogni giudizio, è chiaro, quanto dirompente: la popolazione professionale è cambiata e sta ulteriormente cambiando; nelle aspettative, nelle concezioni, nelle disponibilità. Chi lavora appartiene a pieno titolo alla “società del benessere” e da questa mutua chiavi di lettura e modi di porsi. Sempre più lo stipendio, “il pane”, non bastano ad attirare, coinvolgere e trattenere un lavoratore.

Il dovere/bisogno di lavorare di masse di lavoratori, ha lasciato il passo alla scelta ponderata, alla valutazione, alla conciliazione con la vita privata, ma soprattutto alla ricerca di significato da parte del singolo, dell’individuo lavoratore. Prendere atto di questo, abbracciando e sfidando il nuovo paradigma è l’unico punto di (ri)partenza possibile.

Si (ri)parte dal job design

Ripensare il job design significa porre l’attenzione sulle dimensioni più ancestrali del lavoro: il cosa si fa, il come lo si fa, il senso di tutto e di tutti. Si può scegliere se chiudere o aprire, parlarsi o inviarsi files, controllare o dare fiducia, potenziare o perimetrare; ancora, se dare spazio al pensiero o all’esecuzione, alla creatività o alla procedura.

E’ facile intuire come tutto ciò incida direttamente sul posizionamento della persona entro l’organizzazione, sul suo ingaggio, sulla sua soddisfazione, auto percezione e sul suo senso di appartenenza alla stessa.

Ecco altri punti sui quali un job design consapevole si può basare:

  • Specializzazione verticale VS trasversalità orizzontale?
  • Lavoratore creativo VS esecutivo
  • Lavoratore protagonista VS comparsa tra tante
  • Processo VS obiettivo
  • Pensiero VS azione (Rapporto tra “chi pensa e chi fa, mente e braccio”)
  • Reportistica VS relazione diretta
  • Riconoscimento valore individuale VS team
  • Ruolo della tecnologia VS persona umana
  • Ruolo della procedura: uniformità e abitudine VS diversità, novità.

La sfida sta nel trovare un equilibrio tra le dimensioni sopra elencate, anche se talvolta è auspicabile una vera e propria scelta di campo. L’importante è non pensare siano questioni prerogativa solo delle realtà più grandi e strutturate; il “disegno del lavoro” lo si fa da sempre, ovunque ci sia il lavoro stesso. A fare la differenza sono la complessità e la consapevolezza della portata di queste scelte.

La catena di montaggio e la lezione industriale

In tema di organizzazione del lavoro e job design, la cara e vecchia rivoluzione industriale ci ha consegnato teorie e riflessioni non solo attuali, ma tanto acute e profonde da potersi estendere anche a contesti che produttivi non sono. Lo spettro della catena di montaggio, con la sua de – personalizzazione, privazione di senso, uniformità, ripetitività, robotizzazione, non vede indenni job design che privilegino una spinta parcellizzazione del lavoro, come quelli basati sulle procedure o come quelli, sempre più diffusi, che vedono l’essere umano in subordine ad algoritmi, app o diavolerie cibernetiche.

Anche un impianto moderno, come quello del “metodo Toyota”, fornisce moniti e spunti preziosi. Il ruolo proattivo dell’operaio nel segnalare ad ingegneri e progettisti problematiche o migliorie notate in sede di assemblaggio, condizione della “qualità totale”, ci ricorda come strategia ed esecuzione, mente e braccio, teoria e pratica debbano stare in relazione, per un fine di qualità, nonché di coinvolgimento delle differenti prospettive all’interno di un processo. Organizzazioni che prediligono una gerarchizzazione spinta, finiscono non di rado con il perdere di vista il reale obiettivo del lavoro nello sforzo di difenderla, abdicando all’ascolto di coloro che “eseguono” e comportando uno squarcio inaccettabile tra decisione ed esecuzione.

Conclusioni

Se pensiamo che il job design sia appannaggio solo di HR o esperti di organizzazioni, commettiamo un errore. Non c’è candidato che analizzando un annuncio non provi a farsi un più che legittimo “film” del ruolo descritto. E non finisca per chiedersi se potrà essere attore o comparsa, pensare eseguendo o eseguire pensando, essere ascoltato, avere consapevolezza reale del fine ultimo del suo lavoro. Così come non esiste lavoratore già all’interno di un’organizzazione che, nel chiedersi se cedere alle lusinghe del mercato, non valuti anche le dimensioni affrontate. La sfida per le organizzazioni è aperta; questo è il tempo giusto.