Durante l’evento Export Management presso il polo Santa Marta dell’università di Verona si parlato delle note di scenario sull’internazionalizzazione.

Il Prof. Fabio Cassia ha portato un’importante lettura quanto alla gestione strategica dei mercati internazionali e alle opportunità per le imprese.

I quesiti che guidano le imprese alle scelte riguardano il perché andare all’estero, dove, quanto (con quanta parte della propria offerta di prodotti e servizi), come (con quali modi d’ingresso), cosa (quali beni e servizi) e quando (in quale fase dell’azienda, periodi, stagionalità.)

Vi è dunque una grande differenza nella logica con la quale le imprese decidono di andare all’estero. Appare dunque necessario darsi priorità per non disperdere risorse ed essere efficaci.

Dove fare export

Cassia ha condiviso alcuni dati inerenti alle imprese italiane che vanno all’estero e segnala come in media ogni azienda italiana esporta in 5/6 mercati. E dove il 40% delle imprese è mono mercato ed esporta in un solo paese internazionale. Le imprese “globali” esportano comunque almeno in cinque mercati e i dati degli osservatori mostrano come siano tendenzialmente di media dimensione e siano le uniche con risultati positivi.

Fra le scelte dei paesi verso i quali esportare, prevalgono i paesi vicini.

Dall’osservatorio del Prof. Cassia le scelte non seguono le opportunità: è fatta poca analisi, si va.

Appare dunque chiaro come invece le scelte debbano essere coordinate dall’azienda.

E segnala al riguardo a un interessante libro: “Me ne vado a est”, di Matteo Tacconi.

Come fare export

Una delle strategie possibili riguarda vendere all’estero creando un marchio, magari giusto per quel o quei paesi. C’è anche da approfondire come sono utilizzati i vari prodotti nei diversi paesi, quali siano le abitudini d’uso locale. Ad esempio il vino che è bevuto in Cina con l’acqua o il metodo di cottura della pasta venduta negli Stati Uniti. Queste analisi ex-ante possono far compiere scelte inerenti configurazioni particolari dei prodotti.

Quanto al modo per lavorare in quei paesi, come

  • creare rete vendita (solo importatori, solo esportatori, two way traders?)
  • licenze e franchising (contratti)
  • investimento fiere, magazzini,
  • creare una struttura locale

Vanno valutate accuratamente sapendo che le modalità scelte portano risultati diversi.

Che Cosa esportare

Altre scelte sono rappresentate dal Cosa ovvero dal tipo di offerta, prosegue il professore. Quali prodotti portare all’estero?

  • prodotti esistenti che si portano all’estero?
  • posizionamento, brand, nicchie (dove le nicchie funzionano sempre), quali?
  • prezzo?
  • adattare il prodotto al paese?

E naturalmente il necessario coordinamento della presenza nei vari paesi.

Cosa sta cambiando in queste strategie?

  • rapidità del cambiamento (es. il mobile commerce in Cina è diventato in poco tempo tre volte tanto quello europeo)
  • export digitale (la Cina è al primo posto, seguita dagli USA)
  • evoluzione da prodotto a servizio
  • reti collaborazione

Export digitale

Cassia menziona come in Italia sia solo il 7% delle imprese che vende attraverso e-commerce.

È chiaro che l’export digitale richiede di lavorare sulla logistica: assistenza clienti, supporto legale, ecc.

Serve dunque integrare strategie e competenze specifiche: serve gestione dei magazzini, del packaging, della logistica, resi. Anche la gestione contenuti (descrizione prodotto, foto, ecc.) oltre alla conoscenza degli strumenti e sistemi normativi.

Interessante la ricostruzione dallo studio compiuto dall’Università di Verona che mostra come in genere sia direttamente l’imprenditore a gestire l’e-commerce e dove le imprese italiane usano l’e-commerce soprattutto per l’Europa. L’export digitale italiano è oggi pari al 6% di tutto l’export del paese.

Quanto sono pronte le aziende a vendere attraverso l’e-commerce?

Da tenere poi in considerazione vi è poi il ruolo dei social media: l’azienda si crea un profilo globale e uno locale? Fa un piano editoriale? Collabora con blogger e influencer?

Prodotto o servizio?

Da tenere inoltre presente la tendenza di passare dal prodotto al servizio: la servitizzazione, che richiede di creare un’esperienza, componendo l’offerta come soluzione.

Un esempio è rappresentato, nel caso di una fotocopiatrice, di passare dalla vendita della macchina al noleggio macchina al document management.

In tal modo la posizione dell’impresa è più difendibile.

Ci possono essere poi molteplici altre forme a supporto dell’“andare all’estero”: le reti d’impresa e le collaborazioni come ad esempio integrare fornitori di Hardware e Software. In questi casi si tratta di “dare storia” al prodotto, storicizzando anche i passaggi che si compiono.

Competenze necessarie per fare export

Il Prof. Cassia ha concluso il suo intervento sintetizzando le nuove competenze necessarie:

  • interculturali e linguistiche
  • legali e contrattuali
  • relazionali: negoziazione /creazione reti di fornitori
  • tecnologie digitali
  • logistiche
  • fiscali e doganali
  • gestionali e di marketing internazionale e digitale
  • flessibilità e mobilità
  • varietà di soluzioni organizzative

Se gestire la crescita è il problema delle imprese, la chiave sta nel governare tutte le competenze.

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