Dalla Social Reputation alla Social Awareness

Digital Reputation e Personal Branding.

Da qualche anno si fa un gran parlare di digital reputation e di personal branding. Due facce della stessa medaglia e del medesimo assunto. I candidati hanno una presenza, un’identità digitale & social, che possono facilmente arrivare agli occhi ed alla valutazione del recruiter, raccontando chi sono, cosa fanno nella vita, decretando se possono essere “giusti” e credibili per il mercato del lavoro. Si arriva a parlare di curriculum 2.0 e di candidature bocciate a freddo, dopo un veloce sguardo a Facebook o Instagram.

La contromisura a tutto ciò, guarda al personal branding, o marketing o ancora “pubblicità di sé stessi”. Ecco che molte società di ricerca & selezione consigliano ai candidati di attuare piani di restrizione alla privacy dei social. Oltre a un’ispezione retroattiva dei contenuti già on line, richiami all’autocensura di qualsiasi contenuto possa potenzialmente urtare la sensibilità di un head hunter.

Dunque cautela, cautela e ancora cautela!!! I contenuti condivisi, che narrano di persone, affetti, ferie e serate, piccole e grandi crociate, inclinazioni politiche, gusti musicali ed estetici, allusioni sessuali, stili di abbigliamento etc. potrebbero non essere funzionali a farsi una “buona pubblicità”, accrescere immagine e reputazione.

Ma quali sono questi contenuti in grado di stroncare una candidatura sul nascere, di cosa parliamo?

Fonti autorevoli identificabili nel web, approfondendo i caratteri delle candidature non sopravvissute ad analisi social , additano un 8 % di contenuti di stampo violento/discriminatorio, un 20 % di foto valutate genericamente “improprie”. Mentre un 16% evidenzierebbe caratteri di personalità genericamente non adeguate al ruolo. Chiudiamo con un 18 % riferito a informazioni non coerenti con quanto dichiarato da Cv e un 11% che esprimerebbe valutazioni genericamente negative su precedenti datori di lavoro.

Se i contenuti violenti e discriminatori possono rappresentare un terreno di analisi piuttosto oggettivo, va sottolineato che parliamo solo dell’ 8 %. Le restanti aree fanno riferimento a concetti che si prestano al soggettivismo più spietato, al mirroring, alle associazioni mentali più arbitrarie (lei/lui fa così, dunque è così), alle deduzioni facili. A un’analisi, in sostanza, non solo superficiale poiché attuata su un materiale “filtrato” e incompleto, ma anche non in grado di rappresentare la complessità e la mutevolezza della materia umana.

E’ doverosa inoltre una considerazione: il mondo del lavoro è (fortunatamente) plurale.

Ci sono le aziende, c’è il terzo settore, il mondo educativo, ci sono i ruoli tecnici, quelli creativi e mille altre sfumature, cornici ed identità. Le stesse aziende sono portatrici di culture e sensibilità differenti, anche al loro stesso interno. Il modo di essere e apparire (anche social), le soft skills non possono essere dunque oggetto di un divino giudizio universale, ma il frutto di una valutazione di merito tra candidato, organizzazione e specifica struttura di quell’organizzazione.

Social Awareness.

Lo stesso concetto di “reputazione” appare feroce; una dimensione stabile, universale e irreversibile, fitta di “si dice”, di “sentito dire”, di giudizi forti quanto deresponsabilizzanti per chi li emette; qualcosa che si rifà alla cultura del “sospetto”, che ha rovinato intere esistenze e che ha prestato il fianco a violenza e discriminazione. Si parli piuttosto, lato candidato, di social awareness, di consapevolezza.

Ai candidati dico: “Siate e apparite ciò che siete e volete essere, anche sui social!”.

Preoccupatevi di apparire in un modo che vi rispecchi, vi rappresenti. Siate consapevoli della vostra identità social e non. Conoscetevi e cercate di capire in che cornici e contesti professionali potete essere più credibili e valorizzati. Comunicate voi stessi, fatelo con consapevolezza e serenità, senza censure, conoscetevi e rappresentatevi.

Impossibile non comunicare!

Si dice sia impossibile non comunicare, tanto vale farlo, ma con consapevolezza. Si dice anche sia più facile selezionare un gabbiano che non insegnare a volare ad una lepre; non è tuttavia appiccicando a questa delle ali e incitandola a sbatterle che si risolve la questione.