Turnover e Retention

Misuriamo nella nostra azienda il turnover e la retention?

Il turnover del personale è il flusso di personale che transita, in ingresso e in uscita, all’interno di un’azienda.

Turnover e Retention: in questo indicatore è racchiusa “La” sfida delle Direzioni Risorse Umane.

Da alcuni decenni la crescente mobilità dei collaboratori, l’aumento della competitività fra datori di lavoro, la scarsità, nelle varie nicchie, di risorse qualificate, generano l’urgenza di riorganizzare i processi interni, renderli più snelli e rapidi ma anche di contribuire a rendere l’impresa più attraente.

Molte imprese stanno registrando, anche in questo periodo, un consistente aumento dei tassi di turnover.

Il “ricambio” di personale non è un problema in sé! Il turnover possiede una componente “buona” e una “cattiva”. Per questo il calcolo del turnover del personale deve essere fatto tenendo conto di alcuni fattori determinanti:

Ridurre il rischio di turnover “patologico”:

Se nei periodi di crisi o durante una fase di ristrutturazione, per ridurre il personale, le aziende possono accettare un aumento del turnover in uscita, in assenza di circostanze simili, un incremento dovrebbe essere letto come una seria minaccia alla produttività aziendale.

Il rischio di perdere personale qualificato dovrebbe quindi indurre le direzioni Aziendali e le Risorse Umane a prestare molta attenzione a questo indicatore.

Quali sono le ragioni? Quali tra queste sono le più significative?

  • Difficoltà e conflitti con colleghi e superiori;
  • Bassa competitività della retribuzione e/o assenza da anni di incrementi;
  • Nessuna opportunità di crescita;
  • Mancanza di progetti di formazione e sviluppo, soprattutto per le figure strategiche;
  • Stress, assenza di riconoscimento o carichi di lavoro eccessivi;
  • Scarsa motivazione ed assenza di sistemi incentivanti e premianti;
  • Aumento del gap di attrattività fra la propria azienda e quelle concorrenti;
  • Mancanza di programmi di welfare rispetto a datori di lavoro rivali;
  • Etc.

Come si calcola il turnover del personale? 

Ciascuna impresa, rispetto ai propri obiettivi e situazione, adotterà gli indici più adatti.

Di seguito alcuni esempi:

  • Tasso di turnover del personale complessivo:
    (entrati + usciti nel periodo / organico medio periodo) x 100
  • Tasso di turnover del personale negativo:
    (usciti nel periodo / organico inizio periodo) x 100
  • Tasso di turnover del personale positivo:
    (entrati nel periodo / organico inizio periodo) x 100
  • Tasso di compensazione turnover del personale:
    (entrati nel periodo / usciti nel periodo) x 100
  • Tasso di turnover nuovi assunti: (nuovi assunti usciti nel periodo / nuovi assunti nel periodo) x 100.

Una volta scattata una fotografia attendibile della situazione attuale, è opportuno confrontarla con lo storico. In questo modo sarà possibile monitorare le tendenze e gli andamenti nel corso del tempo.

Come incidere e migliorare il trend?

Se dal raffronto emergono indicatori di turnover “patologico”, l’HR deve subito procedere con interventi nelle politiche aziendali di gestione delle risorse umane come ad esempio:

  • Analisi del clima aziendale ed exit interview;
  • Rivedere il processo di selezione;
  • Piani di formazione e sviluppo del personale;
  • Comunicazione aziendale esterna per rafforzare la forza di attrazione del brand all’esterno;
  • Comunicazione aziendale interna per rafforzare la cultura aziendale e sviluppare senso di appartenenza;
  • Revisione delle politiche retributive rapportate al mercato di riferimento;
  • Revisione dei sistemi premianti e incentivanti;
  • Coinvolgimento del personale nel raggiungimento degli obiettivi aziendali e nelle scelte strategiche.

Ridurre il turnover “patologico” è una misura per contenere i costi diretti e indiretti legati a questo fenomeno. Nei primi rientrano le spese che l’azienda sostiene per l’entrata delle nuove persone in azienda, come ad esempio tempi e costi della ricerca e selezione, inserimento e formazione.

Nei secondi rientrano i costi dovuti alla riduzione di produttività collegata all’uscita di una persona, come ad esempio l’insoddisfazione dei clienti, l’aumento dei carichi di lavoro per i collaboratori che rimangono, malumore generale e l’instabilità percepita.

L’employee retention dunque è la sfida a cui l’HR è chiamato a rispondere.

Qualche supporto e strumento per affrontare e vincere la sfida?

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