Durante il recente evento sullo Smart working promosso da Niederdorf Italia e ospitato da Office Automation sono state distillate alcune domande volte a guidare le scelte e l’implementazione di politiche di Welfare e Smart working nelle aziende.

Sono diventate un’intervista a due dei relatori che si sono avvicendati in quell’incontro: la dott.ssa Valeria Bosco, direttrice di Confartigianato Verona e il dott. Claudio Ceraico, direttore HR di Corneliani.

Ne riportiamo qui una sintesi.

Perché lo Smart working – Moda o esigenza?

R. Lo smart working è una esigenza, che ha le sue fondamenta nella attuale comunità sociale che vede persone con più frequenti trasferimenti in città differenti e con una rete parentale sempre più sottile. Risulta sempre più indispensabile poter conciliare vita, lavoro, oneri e tempo libero.

R. Credo che lo smart working debba essere una modalità consapevole con cui le aziende portano avanti un progetto di cambiamento. Se questa esigenza non parte da un commitment dall’alto, è inutile implementarlo.

Come viene percepito lo smart working da parte di chi non ne è coinvolto?

R. Lo smart working serve a chi ne ha bisogno davvero. Che sia per accudire un familiare o per ricavarsi degli spazi, l’obiettivo è quello di riuscire ad operare quanto necessario, in un contesto temporale e spaziale più fluido. Ad esempio chi ha molta strada da percorrere, potrà apprezzare molto questa opportunità anche se condotta in modo parziale per qualche giorno la settimana.

R. Vanno definite regole chiare e logiche oggettive su quali sono le situazioni e i ruoli che possono e quali non possono essere svolti in modalità smart. Se le regole sono chiare e ben comunicate non si crea demotivazione negli esclusi.

Che cosa significa aumento della produttività?

R. È il raggiungimento, in minor tempo rispetto al previsto, degli obiettivi assegnati e con un sorriso in più del previsto.

R. Come emerge nelle survey condotte presso i collaboratori, produttività significa che lavorando da casa, le persone investono parte del tempo risparmiato in attività lavorativa rendendosi più disponibili anche fuori dei canonici orari di lavoro.

Come si attua il cambio di mentalità?  Come traghettare l’azienda/l’imprenditore da una cultura basata sul controllo a una basata sulla fiducia? come condurre i “primi passi verso lo smart working”?

R. Il cambio di mentalità si attua con l’esempio empirico. I più, seguiranno… Gli imprenditori a maggior ragione vanno guidati con i dati e gli esempi: se lo racconti non ci credono…

Il primo passo è ascoltare il personale. Finché non poni la domanda diretta alle persone, non si ha un quadro chiaro del reale bisogno. E poi studiare assieme una proposta organizzativa con chi lo richiede.

R. Preparare lo smart working con focus group nei quali fare emergere le esigenze e le perplessità iniziali delle persone.

Condurre e pubblicizzare periodicamente delle indagini che sono utili per comunicare, evidenziare e correggere eventuali problemi che emergono nelle fasi applicative oppure per dare evidenza che non esistono problematiche rilevanti.

Qual è il limite di sostenibilità per implementare un sistema di smart working?  Smart Working informale: come garantire una parità di trattamento?

R. Il limite dello smart working è il paradossale svuotamento delle sedi aziendali, con conseguente perdita dei legami di comunicazione tra colleghi. Dall’altra parte, da tempo nei periodi dell’anno meno carichi è maggiormente possibile un lavoro da remoto nella nostra organizzazione. Vediamo comunque tutti le mail e si può operare comunque.

R. Definendo regole chiare e permettendo a tutti quelli che svolgono una attività che può essere fatta da remoto di partecipare.