coaching assessment“Vorrei riaccendere la mia macchina”

ci ha detto quest’anno un manager che si ritrovava “scarico” di energie ma al contempo consapevole del tanto potenziale di cui disponeva.

“Non so come focalizzare i miei sforzi e quale strada percorrere per sviluppare oltre la mia carriera” è quello che ci ha detto un’altra professionista di fronte ad un bivio nel suo percorso professionale.

“La nostra azienda vorrebbe dare un’opportunità di sviluppo delle sue risorse a quel nostro manager che ha di fronte a sé diverse opportunità. Durante un recente colloquio di review ha condiviso con il suo capo il desiderio di migliorare alcuni suoi comportamenti manageriali verso il suoi collaboratori”: è una parte della conversazione svolta con un responsabile HR qualche mese fa che desiderava dare corso ad un coaching individuale a supporto dello sviluppo di un responsabile di un’area dell’azienda.

Il coach ha dunque subito condiviso il criterio di volontarietà alla partecipazione al percorso per il coachee, con un patto di segretezza, dove era definito che cosa si sarebbe poi restituito all’azienda e cosa assolutamente restava della persona.

In tutti i percorsi si era partiti dal confronto con il coachee cui spetta sempre la final decision: vuoi procedere così come sei o prosperare ?

Lo sforzo è quello di portare la persona ad una visione “oltre il sé di oggi” lavorando su azioni non sulle coaching assessmentemozioni. Non sul perché delle cose ma sul trovare i meccanismi comportamentali funzionali, dove “si tira solo fuori e non si mette dentro niente”, come ha osservato un nostro professionista coach.

Nel patto con la persona vi è la possibilità di interrompere il percorso in qualsiasi momento.

Come l’approccio che è spontaneo, senza scaletta, in quanto questa è determinata e condotta dal coachee stesso che ha definito dove vuole arrivare e su cosa vuole lavorare.


In qualcuno dei casi dell’anno appena concluso si era deciso di far precedere il percorso di coaching ad un momento di assessment.


In un caso ad esempio si era proceduto con un assessment 360° raccogliendo elementi dal capo, un collaboratore, due colleghi  pari grado raffrontato con l’autovalutazione per fissare un punto di partenza e poter così poi al termine del percorso rimisurare e verificare il progresso.

Si tratta di supportare il coachee nello scoprire soluzioni, nell’aprire possibilità, nello “svitare la persona dal suo avvitamento” ci ha detto uno dei coach. E’ la completa fiducia nella persona e nelle sue capacità di scoprire le sue soluzioni il fattore fondamentale del rapporto che si instaura fra coachee e coach, che è attento a non anticipare  proposte o vie e che sa “mordersi la lingua” e allontanare i propri personali pensieri lasciando tutto lo spazio e l’attenzione alla persona.

Generalmente il percorso di coaching procede per cicli che sono composti da fasi susseguenti:

  • stabilire il focus rispetto a dove la persona è ora (“come saprai che sarai riuscito?”),
  • scoprire possibilità (è la fase che prevede anche domande paradossali) ,
  • pianificare azioni (che definisce il coachee),
  • rimuovere barriere (per alzare l’asticella) fino a rivedere il percorso
  • definire i prossimi step.

Essere attenti e sinceri, volere il meglio per la persona, sfidarla a fare di più, celebrare i risultati sono alcune delle competenze che un coach porta in dote.

Dunque un coach non un formatore, ma un consulente facilitatore verso più grandi risultati.