L’evento promosso da Niederdorf Italia il 18 aprile scorso attorno al tema del Coaching, ha preso avvio con una introduzione di Giovanna Combatti che ha menzionato il recente richiamo che l’Unione Europea, attraverso l’Agenda ONU 2030 ha rivolto alle imprese europee per spingerle ad una crescita. L’invito è a prendersi un impegno reale per promuovere salute e benessere nelle organizzazioni in quanto fattore chiave per la crescita dell’economia.

Il tema è ancora più importante se collegato alla demografia e all’invecchiamento nelle aziende. Come si supportano le persone da lunga data in azienda verso il cambiamento, verso una crescita e sviluppo? Oggi si parla di Salute Organizzativa come insieme di processi e pratiche che promuovono il benessere fisico, psicologico e sociale nelle comunità lavorative, diventata un’area di lavoro interdisciplinare.

Se da una parte, ha riflettuto Combatti, citando il professore Michael Marmot e il suo libro “La salute disuguale”, lo stato di salute è di responsabilità individuale, dove è il singolo individuo che decide se investire in energia e determinazione per perseguire il proprio benessere, dall’altra vi è lo scopo delle organizzazioni: dare opportunità a ciascuno in ogni fase della sua vita professionale di fare scelte responsabili. Maggiore preparazione e cultura consentono a ciascuno di fare scelte in libertà dando a ciascuno la possibilità di controllo sulla propria vita.

Uno degli strumenti privilegiati per lavorare a questi obiettivi di preparazione e di sviluppo è quello del Coaching, del quale ci ha dato subito testimonianza la dott.ssa Valeria Bosco, direttrice di Confartigianato Verona e UPA Servizi.

Ha testimoniato una esperienza personale di Coaching e il suo utilizzo a diversi livelli in precedenza. Ha riflettuto come le persone fatichino a parlare delle difficoltà personali in azienda e talvolta a decidere quale scelta compiere. “Mi ha aiutato a scegliere la strada da seguire, a rafforzarmi nelle mie decisioni, a generare discontinuità e cambiamento”.

La dott.ssa Bosco ha citato come il Coaching, in una determinata fase della sua vita professionale, la abbia aiutata a compiere una “sgrossatura dei reali problemi”. Il coach mi ha aiutato a guardare cosa potevo rimettere in circolo in quel momento verso un’evoluzione del mio ruolo”.

La testimonianza si è poi soffermata sui casi di adozione dello strumento a favore di collaboratori presenti nell’organizzazione da molti anni, rispetto ai quali il quesito che si era posta era: “come creare movimento, cambiamento?”. I vantaggi di un percorso di coaching si esprimono anche nel far spostare fisicamente le persone che si recano in un luogo terzo, non abituale, rompendo la routinarietà ed il loop. La dott.ssa Bosco cita l’impatto di questi percorsi sul clima aziendale: “vedere le persone sorridere qualche volta in più”, vedere tornare qualcuno più consapevole e che mette in campo “quel quid in più”.

La dott.ssa Marica Martini, coach e facilitatrice in materia di Project Management, ha voluto fare chiarezza rispetto al che cosa è il Coaching, cosa non è, approfondendo il tema delle aspettative.

Ha posto l’accento sull’obiettivo che è la creazione di qualcosa di nuovo di tipo personale e professionale.

E di spingere all’azione finalizzata alla performance o al miglioramento della qualità della vita.

La visione che guida il coach è:
la persona “ha risorse”, non è in una situazione di bisogno.

Mentre il formatore agisce come “esperto” di qualche tema, materia, il consulente “aggiunge qualcosa” al suo committente, il mentor è un senior che “passa conoscenze e competenze”, il counselor sviluppa una relazione di aiuto, il coach mette in campo un rapporto paritetico. E’ un partner del coachee, dove le parole chiave sono futuro e azione.

La dott.ssa Martini ha invitato i partecipanti a riflettere sulle aspettative delle persone, che sono “potenti”: “se credo di riuscire, riuscirò”, “se credo di non riuscire, non riuscirò”.

Il coach lavora sulle aspettative del coachee verso di sé e verso gli altri dove ad esempio “etichettare” chiude o apre. Possono essere delle trappole che creano dei punti ciechi, dove potrei perdere dei particolari che invece potrebbero essere rilevanti.

Tenendo conto di queste aspettative, ci si addentra nella identificazione dell’obiettivo su cui lavorare che si traduce in “ipotesi da testare” per lavorare sul nuovo o in modo nuovo.

Il tema aspettative ha suscitato una domanda da parte di qualche intervenuto: “come si lavora quando ci sono aspettative della persona (coachee), aspettative dell’azienda (committente) e del coach?”.

Qualcuno dal pubblico ha riflettuto come talvolta il capo, il committente del percorso, proietti come esigenza di sviluppo verso il coachee, le proprie difficoltà, facendole diventare l’obiettivo del coaching.

La dott.ssa Martini ha approfondito come il coach lavori con gli “stakeholder”, con tutti i portatori di interesse, rispetto ad una finalizzazione che va condivisa.

E’ stata poi la volta della dott.ssa Valeria Salvatico che partendo dalla domanda “tu cosa vuoi diventare” ha riflettuto su come ciascuno sia motivato dai propri obiettivi.

La dott.ssa Salvatico ha posto l’accento sull’obiettivo di far compiere scelte alle persone, dove il compito del coach è quello del far aprire la porta, generare trasformazione, crescita nella consapevolezza.

“Le persone non cambiano ma crescono”, dice Salvatico. Il contributo del coach è su come velocizzare quel percorso di crescita. Serve sperimentazione e azione. Si opera cambiamento soltanto quando si fa.

“Se siamo quelli che devono trainare l’azienda, generare cambiamento, facciamoci noi per primi un percorso di coaching”, aggiunge.

Alcuni degli esempi citati hanno riguardato l’obiettivo apparentemente piccolo del “sorriso”, che si era posto un coachee come punto di arrivo. Quel sorriso poi si era rivelato uno strumento che ha aperto a più dialogo, più scambio con i colleghi, generando benessere ed incrementata performance.

Diversi altri i casi sono citati dalla dott.ssa Salvatico: da quello di una persona demansionata nel ruolo che doveva ritrovare dignità professionale al caso di una persona che passava da venti a ottanta collaboratori e aveva dubbi sulla propria capacità di sostenere un tale passaggio.

Come coach, ha detto Salvatico, non mi devo accontentare, non posso dare per scontato che la persona sappia dove c’è il problema. “La pepita deve venire fuori” e accade attraverso l’interferenza del coaching su come sei abituato a raccontarti.

Trasparenza con il coach fa il pari con la partnership sopra menzionata fra coach e coachee, laddove è comunque il coach che deve tenere le redini.

Quali strumenti utilizza il coach? La dott.sa Salvatico ha menzionato le domande, gli stimoli per aprire la mente a nuove soluzioni, ricorrendo nel suo caso a storie, letture, film, immagini.

Non interessano al coach i perché della persona. Il coach mantiene il focus sulla sperimentazione e sul far uscire la persona dalla sua zona di comfort.

Come si fa a scegliere un coach, ha chiesto a quel punto un partecipante?

I fattori di cui tenere conto sono molteplici, ha chiosato Combatti:

L’esigenza espressa è di carattere tattico, del qui e ora, rivolta a lavorare su un comportamento e capacità?

Oppure è di carattere strategico, più volto verso il lungo termine? o con un obiettivo trasformazionale, volto a tirare fuori potenzialità, identità e missione personale?

Nel caso di Niederdorf Italia per scegliere il coach rispetto alle diverse situazioni ci chiediamo:

  • Quale combinazione può garantire la migliore sintonia?
  • Stile comunicativo (sintonico o opposto?)
  • Approccio (introspezione, riflessione, dinamismo, lentezza, ritmi, ecc.)
  • Esperienza (vicinanza funzionale del coach, tipo di contesto, ecc.)
  • Risultati che ha conseguito, impatti generati

E’ stato menzionato qualche altro caso che ha richiesto recentemente interventi individuali di Coaching, quali la costruzione di un nuovo ruolo oppure molto frequente l’esigenza manifestata da coachee di condurli in un percorso dall’autorità all’autorevolezza come stile di guida e leadership. Ed infine altrettanto frequente l’obiettivo di risolvere un conflitto, di ridurre lo stress o la solitudine di chi è al vertice e deve prendere decisioni pesanti.

Gli intervenuti hanno infine potuto sintetizzare loro idee, pensieri, note in un post it condiviso con il gruppo di partecipanti. Qui qualcuno dei pensieri:

  • Apprendere tecniche e strategie d’azione attraverso la sperimentazione
  • Voglia di mettersi in gioco, spinta personale
  • Crearsi delle aspettative! Immaginare il futuro per raggiungere un obiettivo
  • Azione è uguale a cambiamento in senso di “crescita” non di modifica
  • Alla fine è tutta questione di processo!
  • Se credi che puoi o che non puoi, hai comunque ragione
  • Abbandonare la paura di conoscersi meglio
  • Il coaching come percorso di provocazione
  • Che cosa vuoi diventare?